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ISPIRAZIONE

La natura è la grande artista.

La sua bellezza è amore divino.

L’arte è adorazione.

Con gratitudine ricevo e trasmetto le emozioni, le forme e i colori delle forze che animano il mondo vivente e la vita interiore.

Esprimersi è continuare l’opera della natura.

Dipingere e disegnare è tracciare lo spirito sulla Terra.

Illustrare è concepire i figli delle storie e dei racconti.

Decorare la natura è onorare il sacro.

Condividere l’arte è celebrare la comunità di tutti i viventi.

INSPIRATION

Nature is the greatest artist.

Its beauty is Divine Love.

The art is adoration.

With gratitude I receive and pass on emotions, forms and the colours of those forces that animate our inner and outer worlds.

To express ourselves is to continue Nature’s work of art.

To paint and draw is to trace down Spirit upon Earth.

To illustrate is to conceive the children of stories and tales.

To decorate Nature is to honour the sacred.

To share art is to celebrate the community of all living things.

 

QUANDO DIPINGO

Disegno e dipingo da sempre, da quando sono in grado di tenere in mano matite e pennelli. È una cosa di famiglia, madre zii sorella dipingono. È un’eredità che non so da dove arrivi, credo da oltre i confini della famiglia anagrafica: da una grande famiglia fatta di alberi, cielo, animali, spiriti. Le immagini, le forme e i colori mi arrivano da lontano. Ringrazio chi ha fatto da tramite con queste forze ancestrali, potenti, amorevoli, creative, incoraggiandomi, come mia madre, aiutandomi, come chi mi ha fatto esporre le mie opere o ha scritto di me, o le ha acquistate o volute in regalo, perché vi si sentivano risuonare. Per il dono che ho ricevuto ringrazio anche le circostanze avverse, le situazioni, gli incroci del destino, le persone che ponendo ostacoli mi hanno rinforzato nella passione e mi hanno fatto comprendere che era qualcosa di davvero mio e profondo. Ringrazio chi mi ha fatto da maestro, liberandomi energie, facendomi scoprire le mie capacità latenti, sbloccandomi, come Adriana Zanoletti con i colori, come Alberto Salomone e Graziella Sarno con le tecniche e l’anatomia. E ringrazio quanti mi hanno fatto scoprire le forze gigantesche e illimitate dell’immaginazione, il potere della mente di riflettere e di plasmare la realtà, i doni dell’anima. E ringrazio, in definitiva, per tutto, per poter vivere e dipingere, per essere nato in una terra meravigliosa di artisti, in un mondo dove gli esseri umani sono strumenti con cui il divino crea bellezza, nel suo slancio infinito, come non gli bastassero, per cantare la gioia dell’esistenza, le meraviglie che già sono tutti gli elementi, le forme, gli esseri viventi e la natura in tutto il suo splendore.

Quando disegno e dipingo ho la mente libera, leggere, distesa. Mi appaiono in qualche zona dell’universo, a metà strada fra l’infinito e il presente, forme, motivi, colori, che lascio uscire in questo mondo come per un’operazione magica di evocazione. Ci sono forze che mi spingono, che vogliono manifestarsi, esprimersi. Scopro poi a distanza di anni, magari, che sono forme di simboli universali; che sono disegni e colori che appartengono ai magazzini cosmici di memorie e di immaginazione che l’intelligenza e l’amore dell’universo hanno da sempre pronte e già realizzate, in semplice attesa di venire alla luce in questo nostro mondo limitato, per aprirvi squarci sull’infinito. Un mondo che ne ha bisogno, per sognare e poter vivere, più del pane, perché sono il nutrimento della vera sostanza, l’anima che ci lega al tutto, che è amore e conoscenza in azione.

Quasi mai programmo quello che voglio ottenere. Mi sono esercitato per anni, prima nel disegno poi nei colori; ho studiato e goduto dell’arte di tutto il mondo e di tutti i popoli e di tutti i tempi, trovando ovunque e comunque completezza e sacralità. Ho studiato e apprezzato l’affascinante opera di artisti primitivi e orientali, africani e nativi americani, di surrealisti e di Matta, Sutherland, Ernst, Mirò, con le loro magiche forme che esplodono da altrove assoluti nel corpo della natura. Ma quando ho davanti il foglio o la tela bianca riparto sempre da zero. A volte seguo il fascino di un’immagine, un ricordo, una foto, un volto, una forma d’animale o pianta o la magia di un paesaggio. Altre volte lascio proprio che tutto mi passi attraverso come credo facciano i medium in trance o gli scienziati quando intuiscono qualche legge cosmica. Semplicemente mi metto in attesa di ciò che deve accadere, come in una meditazione, in un rituale spontaneo. E allora ciò che mi appare e appare, sono gli spiriti, i flussi, le correnti, le forme, le strutture di base che permeano e imbevono di sé l’intera natura vivente e ogni angolo del mondo. Passano attraverso la mia mente, il mio cuore, le mie mani, e si depositano sulla carta. È un evento ogni volta prodigioso. Vanno da soli, mi muovono, sono vuoto come una canna di bambù, attraversata dal vento. Che vi suona.

Ho la sensazione vertiginosa di dare forma all’invisibile e all’indicibile. Ciò che appare è come una nascita nel mondo: non è più pura luce, è qualcosa di delimitato e definito che solo può ricordare la sua origine infinita, e può soffrirne; è come un bambino che ricorda ancora la luce infinita, vive ancora nella magia e non vorrebbe crescere, vorrebbe sempre giocare. Ma diventa poi una persona, assume una propria personalità, impara a muoversi nel mondo: col passare degli anni, quello che ho fatto prende una sua strada, lo vedo con occhi nuovi, mi ispira nuove meditazioni e idee, me ne si schiudono i significati. Così mi si squaderna davanti il tempo, che in assoluto è illusione ma qui, in questa vita, è una legge di fronte a cui ogni cosa s’arrende; consenziente, perché anche nascita, crescita, maturità e morte e rinascita sono bellezza e pienezza della vita.

Non c’è un dipinto uguale all’altro. Solo poche volte ‘ripeto’: sono casi estremi, in cui mi soffermo su eventi speciali dello spirito: voli d’aquila, orgasmi sublimi, apparizioni potenti. A volte i dipinti nascono e si completano in mezzora: è l’urgenza di spiriti bambini che premono per nascere e crescere, di forze scatenate, nuove, travolgenti. Appaiono e scompaiono. Magari mi arrivano quando viaggio, col corpo e colla mente, molto lontano. A volte, ci vogliono anni perché si completi un dipinto; o non si completa mai; o si trasforma completamente, sommerso da altre immagini. Sono forze più antiche, oceaniche, durature. Le riconosco quando le sento, mi parlano con calma, lentamente, nei sogni, nell’immaginazione sospesa, tornano e tornano. Come certi colori ultrasensibili che riesco solo in parte a riprodurre, e ritornano mischiati ai colori possibili in questa estensione sensibile; come certi esseri che rinascono di continuo, mutano forma, si sviluppano, si srotolano e s’aggiustano man mano che passano gli anni, si ripresentano, come a chiedermi ‘come va?’, e ripartono verso orbite lontane. Ma so che torneranno. A volte, accade anche questo, gli spiriti impetuosi tornano dopo anni, allora li riconosco e chiedo loro se vogliono riapparire, rifarsi forme e colori. Se è sì, il loro ritorno dopo una crescita lontano da me è una festa, e richiamo tutti i pezzi della mia anima a ricomporsi attorno a loro, mi faccio raccontare cos’hanno visto e sentito, chi hanno incontrato, quali amori, dolori, esperienze hanno vissuto.

Animali, piante e fiori, natura, corpi e volti, energia colorata, pietre, cristalli, aure, metamorfosi, luce: tutto si compone come in un puzzle incantato, per lasciare una traccia dell’infinito nel finito.

Ora i miei dipinti sono diventati anche uno strumento di divinazione per “leggere” e interpretare la realtà spirituale e il momento che si sta attraversando: ne sono nate due serie di carte ispirate una alla natura, l’altra alla visione sciamanica dei popoli nativi, la cui esperienza diretta mi ha nutrito in questi anni.

 

LA DIMENSIONE IMMAGINALE: I SIMBOLI DELL’ANIMA

Le immagini sono la sostanza dell’anima, il corpo in movimento le manifesta, i simboli ci riuniscono al Tutto e ci mostrano chi siamo.

Con il termine “immaginale” si intende quel campo di esperienze (sogni, visioni, “appercezioni spirituali”) che appartengono al misterioso campo dell’anima e che sono studiati, in psicologia, fra gli altri da C.G.Jung e J.Hillman. Per loro le immagini sono fondamento dell’anima, non prodotti dei sensi e del sistema nervoso centrale come affermato dalla scienza riduzionista. Non sono neppure manifestazioni illusorie o puramente soggettive come invece le qualifica la psicologia convenzionale, che riduce la vita psichica a una sorta di rappresentazione fantastica e simbolica di questioni, al contrario, “concrete”. Secondo la psicologia classica, le immagini dell’inconscio sono solo suggerimenti all’io individuale ben definito che ha (o cerca di avere, o dovrebbe avere) il controllo sul mondo inconscio. 

Invece secondo la psicologia archetipica non siamo noi a percepire o fare le immagini: noi siamo immagini. Le visioni e le esperienze spirituali genuine non sono “immaginazione” (nel senso di fantasia) ovvero false realtà: al contrario, sono reali quanto quella che definiamo realtà concreta. Quest’ultima nella nostra cultura attuale è ristretta a ciò che è verificabile dai sensi e dalla razionalità ed espresso dal linguaggio verbale. Per i mistici e per chi ha esperienze genuine di tipo spirituale il mondo sensibile è reale ma è “figlio”, riflesso di un mondo più vasto. Jung lo chiamò inconscio collettivo o mondo degli archetipi, che sono una sorta di stampi nei quali prende forma la realtà quotidiana e che guidano la vicenda personale e collettiva dell’umanità; Hillman lo chiama “mondo immaginale”.

Il termine “immaginale” fu coniato nel 1964 da uno dei padri della psicologia archetipica, il filosofo francese Henri Corbin, per differenziare questo campo di esperienze dall’“immaginario”, inteso come qualcosa di irreale. Henri Corbin studiò le esperienze dei mistici sufi verificando come per loro queste esperienze (quelle di unificazione con l’assoluto) sono dotate di una propria fondamentale solidità, evidenza e realtà, anche se non corrispondono ai criteri con i quali misuriamo le esperienze quotidiane. Sono esperienze che avvengono su un altro piano: non si può ridurle a prodotti della fantasia né, al contrario, misurarle come fossero oggetti o fenomeni fisici. Un sogno non ha peso né si può toccare, ma esiste comunque, ha un suo peso e una sua sostanza nella vita psichica. La nostra mente analitica deborda dalle sue pur valide prerogative quando sostiene l’irrealtà del sogno proprio come un abitante della Terra che definisse irreale la notte perché in questo momento, per lui, è giorno: buio e luce esistono entrambi, sempre, in modi diversi, e sono specchi uno dell’altro, inseparabili e complementari; è unicamente la nostra percezione fisica a distinguerle in base al luogo e al tempo in cui ci troviamo. La psicologia, suggestionata dalla scienza o meglio dallo scientismo, ha invece identificato la mente “reale” con l’io conscio il cui compito sarebbe quello di assoggettare e controllare il vasto regno del non io: come dicesse “deve essere sempre giorno”. Impossibile. La realtà dell’anima è più democratica ed ecologica: ciascuno dei nostri stati mentali coesiste con gli altri in un equilibrio creativo e salutare; ciascuno risponde a una necessità e la nostra identità non si riduce a un frammento di questo insieme superiore gerarchicamente, ma nasce dall’incontro e intreccio di tutti questi aspetti del Sé che prendono corpo nel nostro microcosmo.

DIVIN-AZIONE: RICEVERE, LEGGERE E VIVERE I SIMBOLI SACRI

“L’uomo ragiona per segni, Dio per simboli. Entrare nel simbolo ci porta oltre la paura; col simbolo non siamo più sugheri che galleggiano nell’oceano infinito”. Lorenzo Ostuni

La divinazione non è un fare, un’azione; o meglio non è un’azione umana. È il  disvelamento di una realtà spirituale in forma umanamente percepibile. Divinare non è leggere il futuro, è prepararlo leggendo il presente, lasciandosi vedere dal divino.

Il termine simbolo viene dalla parola del Greco antico σμβολον (súmbolon, “segno”); a sua volta questa deriva dal verbo sym-ballo, le cui radici sono sym, “insieme”) e bàllein, “gettare”), ovvero “mettere insieme”, unire due parti diverse.

Il contrario di simbolo è diabolo, da dià-bàllein, ovvero separare, frapporre un ostacolo, dividere (e calunniare).

Il simbolo dunque è unione, amore e verità, il contrario è disunione, odio, falsità, menzogna. Il simbolo è un’immagine che ci riunisce, che ci apre a un mondo più vasto e più vero.

Nel linguaggio comune desacralizzato, il simbolo è un’immagine che rappresenta un’altra cosa (lo riduciamo a un “segno” (cartelli stradali, emoticon e così via) o a una metafora (simbolo di saggezza, di potere e così via). Ma un simbolo non è solo un segno, è una realtà psichica concreta; nella ricerca spirituale, il lavoro sui simboli ci riunifica concretamente con il reame spirituale espresso dal simbolo stesso.

Non siamo noi a inventare i simboli: essi preesistono alla nostra mente individuale, sono universali, sono le strutture stesse della natura divina che ci crea. Accediamo al messaggio e al significato del simbolo quando diventiamo vasi vuoti e ce ne lasciamo riempire. 

Tutto in natura può essere un simbolo per noi se affiniamo le nostre percezioni spirituali.

Il corpo umano, per esempio, è un simbolo di molte cose: è un simbolo di

Unità – (è uno)

Dualità – (ha parti parti doppie)

Simmetria – (destra, sinistra)

Molteplicità – (ad esempio, le dita delle mani e dei piedi)

Unione – nasce da due diversi corpi che si sono uniti

Creatività – produce altri corpi nell’unione

Coscienza - sensi

Materia – è solido

Anima – si muove

Spirito - respira

Verticalità

Orizzontalità

E così via all’infinito.

 

Alcuni simboli universali di base:

Punto . (unità, unicità, origine, centro e così via)

Linea ______ (direzione, sviluppo, estensione e così via)

Croce + (incontro fra umano e divino, fra verticalità e orizzontalità e così via)

Cerchio (circolarità, armonia, circolazione e così via)

Quadrato (equilibrio, completezza, simmetria e così via)

Triangolo ∆ (elevazione, ordine, definizione e così via)

Spirale (tempo, sviluppo, crescita, evoluzione e involuzione, ritmo e così via)

Infinito∞ (totalità)

Attraverso i simboli si accede al mondo immaginale come il linguaggio verbale non può fare. Nell’alchimia si usava decifrare il “liber mutus” delle immagini per la meditazione e la trasmutazione interiore.

Divinare, ovvero leggere le immagini simboliche e i messaggi oracolari, significa quindi accantonare l’ego per entrare in una realtà più vasta. Accettare con umiltà e riconoscere il sacro. Accantonale la razionalità che è utile ma divide, senza distruggerla, ma usarla come strumento senza farsene usare. Non illudersi di poter conoscere per via puramente intellettiva la vita e la realtà cosmica: come il mio corpo e la mia vita non li ho creati io ma li ho ricevuti, posso esserne cosciente ma mai controllarli al 100%. Hillman diceva:  noi esistiamo non come materia (saremmo morti) ma come immagini viventi.

Qual è il luogo dove fioriscono i Simboli? Quel luogo è la Totalità del Reale: l’Universo, dall’infinito all’infinitesimo. A monte dell’Universo c’è l’Uno; a valle dell’Universo c’è l’Uomo, la mente umana.
Che cosa sono i Simboli?
LA MASSIMA ENERGIA NELLA MINIMA FORMA.
LA MASSIMA LUCE NELLA MINIMA OMBRA.
LA MASSIMA PACE NEL MINIMO CONFLITTO.
LA MASSIMA UNITA’ NELLA MINIMA DISPERSIONE.
IL MASSIMO AMORE NEL MASSIMO STUPORE.
 Lorenzo Ostuni

 

LE CARTE SCIAMANICHE: UNO STRUMENTO PER LA CRESCITA INTERIORE

Premesse, storia, pratica e sviluppi di un nuovo sistema oracolare

Di Stefano Fusi

Nell’espressione artistica, nella poesia, nella musica, nella danza e nel movimento del corpo, nell’intuizione e nella celebrazione rituale, nella divinazione, nel lavoro sui simboli si manifesta una realtà più vasta di ciò che appare agli occhi fisici, alle sensazioni e alla coscienza di veglia. È ciò che i mistici di ogni continente e di ogni epoca, in modi diversi, definiscono “divino” e coincide con la coscienza del Tutto di cui facciamo parte. Non vi si arriva attraverso logica, sensi e ragionamento e neppure attraverso l’immaginazione, bensì attraverso quelli che loro chiamano i “sensi interiori”: l’occhio del cuore, il terzo occhio e così via. Sono modalità di conoscenza del reale diversi da quelli usuali ma concreti tanto quanto quelli cui siamo abituati a dar fede normalmente. Sono accessi alla dimensione “immaginale” e al contempo esplorazioni della dimensione simbolica: questi contenuti coincidono largamente; il simbolo è un’immagine che richiama una realtà spirituale e psichica.

In questi momenti di apertura siamo a contatto con le immagini che plasmano la nostra esistenza, con le forze fondamentali della vita e del cosmo che assumono sostanza, colore e forma, diventano narrazione ed esperienza alle nostre sensibilità sottili.

A me succede nella pittura e nelle esperienze che ho vissuto con persone che conoscono queste dimensioni. “Lavoro” da sempre sull’immaginazione e ben presto ho compreso che non sono io ad agire, è qualcosa di più grande che mi attraversa e di cui in quel momento divento un terminale-ricevitore; ho riconosciuto che i simboli ricevuti e messi in immagini sono universali e preesistenti alle esperienze umane.

Da alcuni anni le cose che ho “visto”, le immagini che ho ricevuto sono diventate uno strumento di lavoro su se stessi che condivido in incontri e seminari: le Carte sciamaniche fungono da specchi nei quali ciascuno ritrova la propria mappa interiore e percorre una tappa importante del proprio cammino insieme agli altri.

Questo avviene affidandosi alla saggezza di ciò che Jung chiama il “numinoso”, ovvero l’apparire nel nostro mondo quotidiano di immagini e messaggi di questa più ampia realtà archetipica, immagini e messaggi che non hanno un significato decifrabile secondo canoni convenzionali; questa “irruzione” del sacro trasforma la coscienza dell’individuo portandolo a confronto con la propria limitatezza e offrendogli una visione e percezioni più ampie.

Nel dipingere e nel condividere le immagini restando aperti a questa dimensione  appaiono ogni volta quelle più appropriate alla situazione attuale. Vanno a indicarci esattamente da dove veniamo, dove siamo e dove stiamo andando.

È un’attività emozionante che va oltre alla mia intenzionalità: mai mi sarei immaginato, appunto, di poter vivere tali esperienze meravigliose, nelle quali le persone riescono ad avere risposte immediate, confortanti quanto a volte spiazzanti ma sempre pertinenti e precise.

È un aprirsi alla fiducia nell’esistenza, un accoglierne i doni proprio come avviene a un seme che riceve la vita da un insieme più vasto, cade e affonda nella terra, attende, germina e quando è il momento si fa da parte per lasciar spuntare radici, fusto e rami della pianta. È imparare a “leggere” in ogni momento, in ogni avvenimento, in ogni messaggio la verità profonda che è lì pronta per essere svelata e compresa.

Tutte le esperienze “immaginali” che ho vissuto hanno in comune questa vivida chiarezza e questo contenuto universale, che si manifesta in forme diverse ogni volta. Queste esperienze del numinoso sono avvenute e avvengono spontaneamente in natura, dipingendo o in meditazione, nel corso di pratiche autogene (visualizzazioni) o di rituali e cerimonie (nella capanna sudatoria, nelle esperienze con miei maestri, nei cerchi di tamburi e nei momenti di gruppo che vivo con la “tribù” di cui faccio parte, accomunata da questa ricerca).

Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, ci dimentichiamo tutto questo e crediamo di esserci venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino. James Hillman, Il codice dell’anima.

Le immagini-seme

Negli anni ho incontrato persone che mi hanno mostrato come sia possibile “lavorare” con le immagini per la salute, l’equilibrio personale, la crescita spirituale sia attraverso l’immaginazione guidata in rilassamento profondo, sia in meditazione, sia in arte. Ho sperimentato, condiviso e insegnato a mia volta queste tecniche e pratiche. Ad esempio, la psicocibernetica (psicodinamica o dinamica mentale)>>, che insegna a “surfare” con l’immaginazione sulle onde della coscienza per entrare in contatto con la propria parte intuitiva e “telepatica”; quelle sciamaniche di “viaggio interiore” al suono del tamburo o nel corso di canti e cerimonie sacre, con cui si percorrono i territorio più profondi della propria mente fino ai bordi dell’anima; e quelle arrivate da sole in stati di trance spontanei e in “esperienze di vetta” (così sono definite dalla psicologia umanistica e trans personale i momenti magici dell’Insight: magari solo per un attimo si ha la percezione del vasto oceano di cui siamo momentanee gocce che si formano nell’urto dell’acqua marina con un confine; gocce che non esistono a sé stanti ma solo come aggregati temporanei e minuscoli; gocce però che compongono l’oceano).

Queste esperienze interiori sono difficili da esprimere con le parole: avvengono in stati d’animo e di coscienza espansi ed elevati nei quali si vive come condizione normale l’armonia assoluta con tutto quanto esiste e ci si sente parte di questo immenso cerchio vivente, provando sentimenti di commozione per la bellezza di tutto ciò che esiste, di fratellanza universale e di appartenenza al cosmo intero. Condizioni poco usuali nello stile di vita attuale, frammentato e frenetico, nel quale la lentezza, l’attenzione, la consapevolezza sono quanto meno scoraggiate dall’apparato tecnologico-psicoterapico-mediale-culturale che considera (ancora!) questi stati come “fantasticherie” inutili. Queste condizioni “oceaniche” permettono, al contrario, una sintonia con i ritmi naturali che ci guarirebbe dall’insana corsa all’accumulo di gadget e ci mostrerebbe come tutto ciò che ci viene propinato attraverso macchinette, app e web lo sappiamo fare già noi naturalmente: sentirci all’istante a distanza, conoscere quello di cui abbiamo bisogno e siamo pronti a ricevere, attingere a una saggezza universale e condivisa.

Con le immagini indotte artificialmente siamo continuamente collegati a questa sorta di Matrix; volgendoci invece alle “nostre” immagini interiori possiamo guarire ritrovando la nostra integrità.

Meglio ancora: queste immagini non sono “nostre”, sono quelle cui noi apparteniamo realmente; sono la sostanza della nostra vita. Sono le immagini della realtà biologica e naturale. Il nostro corpo le conosce alla perfezione perché è esso stesso immagine. Sono le immagini delle spirali e dei filamenti del Dna, dei ritmi naturali dei campi di materia-energia che danno forma alla realtà, sono le tracce dei quanti e dei salti orbitali delle particelle, le onde e le circonvoluzioni delle cellule e degli organi vitali, i flussi dell’acqua e le trasformazioni della materia, i movimenti degli animali e le forme delle piante, le espressioni umane. Sono allo stesso tempo le immagini dell’anima, che è il collegamento fra la materia e lo spirito, il ponte fra le dimensioni: le immagini che emergono nei sogni e nelle altre forme di visione interiore; immagini delle reti energetiche-luminose che costituiscono i campi nei quali siamo immersi, di cui siamo composti e dei cui movimenti siamo una riproduzione parziale dotata di coscienza che a tratti ne prende consapevolezza e li riproduce a sua volta nelle relazioni con gli altri, nell’arte, nella scienza, nelle cerimonie.

Fra tutte queste immagini alcune le ho definite “immagini-seme”: contengono in sé tutte le immagini, quelle da cui vengono e quelle in cui si trasformeranno.

Un’immagine-seme è quella del punto.

Un’altra è quella del vuoto di cui siamo realmente costituiti.

Un’altra immagine-seme è quella della matrice cosmica.

Un’altra è quella della metamorfosi continua della natura –divino (tutto)-umano-animale-elemento: il cerchio della vita.

Il punto è l’inizio di ogni cosa, il seme universale da cui sgorga l’intera realtà. 

Il vuoto, Śūnyatā, la Vacuità (il Grande Mistero) è il substrato da cui emergono le potenzialità. Non esiste il vuoto assoluto; come dice la fisica quantistica quello che chiamiamo vuoto è il luogo non-luogo, il tempo non-tempo in cui sono generati tutti i fenomeni e ove sono riassorbiti.

La matrice è quel continuum creativo che ci plasma: la rete di materia-energia intrecciata al vuoto originario fecondata dal punto. È il Velo di Maya, l’immaginazione creatrice, la trama in cui si intesse la realtà manifesta, l’utero cosmico perennemente in gstazione.

La metamorfosi è quella che avviene sempre e ovunque, ogni attimo a ciascuno, anche se crede di essere stabile e definito: dal primo all’ultimo momento della nostra vita attuale mutiamo continuamente; l’aggregato temporaneo che chiamiamo “io” è composto di tutte queste continue mutazioni, che comprendono veri e propri “salti” da una dimensione all’altra (esattamente come avviene nei più infinitesimali reami delle particelle subatomiche), anche se ci appare una continuità che è appunto più illusoria che reale ma esiste anch’essa contemporaneamente alla mutevolezza, proprio come per esistere un fiume (acqua, corrente, fluidità) ha necessità di sponde (suolo stabilità, solidità). La realtà è fatta di quelli che chiamiamo opposti ma sono complementari; la realtà è paradossale, non segue (solo) la logica aristotelica che divide A da non A: la realtà è A + non A. Le immagini  hanno la caratteristica di essere oltre il linguaggio verbale-razionale che divide e classifica, quindi hanno il potere di riunificare nell’intuizione le nostre facoltà percettive riconducendoci all’interezza nella quale sono in armonia tutti gli aspetti della nostra esistenza.

Le immagini che oggi compongono le Carte sciamaniche e le altre serie di carte che stanno nascendo sono affiorate in questi stati di coscienza e sono divenute dipinti e disegni. Quasi sempre, nel disegnare e nel dipingere, sono immerso nello stato ricettivo (non passivo ma di “casualità controllata” come definito dal ricercatore spirituale Alan Watts); sono attraversato e mosso da queste immagini. Molto raramente decido in anticipo quello che intendo dipingere: mi metto a disposizione delle forze creatrici e mi affido al momento, svuotandomi per ricevere.

La storia delle Carte sciamaniche

Le Carte sciamaniche vengono concepite per la prima volta una decina d’anni fa, ma la loro storia è molto più lunga, affonda le radici in un terreno profondo, ben oltre la mia storia personale: così come ogni persona esiste ben prima della nascita individuale. Per restare alla mia vicenda personale, comunque, risalgono agli anni in cui ho “studiato” e praticato la divinazione, i Tarocchi e l’IChing - non per “conoscere il futuro” ma conoscere me stesso nel mondo grazie al potere delle immagini; e in cui parallelamente ho sperimentato e le pratiche di crescita personale e di immaginazione creativa, ho lavorato nella comunicazione e nella scrittura, ho seguito sciamani e insegnanti di “arti per la salute” e tecniche moderne e orientali per l’espansione della coscienza, ho partecipato a celebrazioni ed incontri rituali.

Fra tutte queste esperienze quella forse decisiva è l’incontro con Lorenzo Ostuni, studioso di simboli e maestro di arti divinatorie, che ha riportato in vita gli antichi metodi delle Sibille creando sistemi oracolari, oltre a inventare sistemi per la ricerca interiore (gli specchi simbolici, il Biodramma). Su Lorenzo Ostuni leggi qui>>

Le altre recenti esperienze rilevanti sono stati i cerchi di tamburi e di condivisione, il lavoro sciamanico, i canti e le danze sacre, l’immersione cosciente nella natura, gli insegnamenti tantrici; anche il mio lavoro nella comunicazione ha contribuito a farmi prendere coscienza e riflettere sui poteri e sugli effetti delle immagini, delle parole, dei contatti e della circolazione delle informazioni e dell’energia fra le persone.

Così ispirato, attorno al 2006 iniziai a elaborare il sistema della Carte sciamaniche perché mi resi conto che le “mie” immagini e le mie esperienze richiedevano di essere condivise, di incontrare persone: come figli cresciuti che cominciano a uscire da soli, hanno premuto per andare. Non è stata una decisione “razionale” o completamente cosciente; ho ricevuto anche questo “incarico” come naturale espansione delle esperienze fatte in passato.

È stato anche un lavoro collettivo. Nulla di importante si fa da soli. Qualsiasi idea o realizzazione nasce dall’incontro con gli altri. Questa è la natura delle cose.

Alcuni amici hanno particolarmente contribuito a questo percorso: con loro ho cantato, danzato e celebrato; alcuni di loro hanno “lavorato” con le mie immagini trasformandole in canti, poesie e utilizzandole nella divinazione, come l’artista e musicista Luz Amparo Osorio, la conduttrice di rituali Nirava Dainotto, il cultore di tecniche del corpo e studioso di culture sciamaniche Piero Pierangeli. In questi anni guardavo e vivevo le immagine e davo una forma alle Carte, cominciando a sperimentarle in gruppo e nelle letture individuali. E subito emerse come fossero uno strumento potente quanto diretto. Sono nuove ma ispirate a tutte le tradizioni spirituali che hanno al proprio centro l’accesso diretto alla dimensione spirituale, intesa come esperienza della nostra appartenenza al Tutto e dell’essenza comune a tutti, che è quella di essere parti unite fra loro di un insieme più vasto che ci contiene e anima allo stesso tempo.

Che cosa avviene con le Carte sciamaniche

Nelle decine di incontri e nei molti consulti individuali di questi anni, sono sempre arrivate le carte che contenevano l’immagine corrispondente a ciò che le persone stavano vivendo nell’anima in quel preciso momento.

Sono apparse carte nelle quali le persone si sono rispecchiate; in molti casi perfino immagini che ritraggono volti e persone somiglianti al richiedente; sempre, a detta di tutti i partecipanti, le immagini permettevano di vedersi con chiarezza e di percepire nell’intimo ciò che la vita stava proponendo e preparando.

È arrivata la carta dell’Amore, con la spirale, a una persona che aveva appena ricevuto in dono dall’amato un anello a spirale; è arrivata la carta della Ruota delle nascite, che vede sei esseri uniti al centro da questo movimento circolare che li unisce, a una persona che è in una famiglia di sei persone e che ha al centro dei suoi pensieri e preoccupazioni proprio questi rapporti; è arrivato l’Antenato a una persona che aveva appena avuto rapporti karmici con una persona dai capelli identici a quelli della persona raffigurata nella carta; è arrivata la carta del Rito a una donna vestita di verde, colore della carta, che intende diventare a modo suo “sacerdotessa”; e sono avvenuti molti altri casi come questi, eclatanti e apparentemente “paranormali” quanto ormai divenuti comuni nelle letture: se sono successi significa che rientrano nella norma e nella natura delle cose. Non è “magia”, è la legge della sincronicità così ben descritta da Jung e Pauli, che spiega ciò che la fisica oggi ci rivela in altro modo: siamo vuoto da cui emergono le forme materiali, l’unica realtà è quella delle relazioni fra chi osserva e ciò che avviene, il tempo e lo spazio in sé non esistono ovvero non sono separati da noi ma noi stessi ne siamo il flusso espresso in una persona temporaneamente vivente, che ha il potere di modificarli (come i corpi celesti incurvano il tempo e lo spazio), di “entrarvi” e di viverli anche in modi diversi da quelli che siamo abituati a ritenere “normali”.

Le carte estratte sono sempre quelle “giuste” perché nel momento in cui ci si affida all’intuizione abbandonando l’intenzionalità la realtà ci viene incontro spontaneamente e ci mostra con chiarezza un messaggio pertinente. 

“Utilizzo quindi il concetto generale di sincronicità nel senso specifico di corrispondenza tra due o più eventi senza una relazione causale, e che hanno lo stesso contenuto significativo o un senso simile; e faccio questo attraverso un’opposizione alla nozione di sincronismo che indica soltanto il semplice fatto della simultaneità di due fenomeni”.Carl Gustav Jung

Nei gruppi, le esperienze sono ancora più facili, veloci, forti e significative per l’effetto di risonanza che si crea: tutti i partecipanti possono verificare come a tutti succeda lo stesso e prendere ancora più confidenza con questo approccio di abbandono cosciente alla forza imamginale. Abbandonandosi con fiducia all’attimo presente grazie alla concentrazione sulle immagini e condividendo con gli altri la propria verità, ci si guarisce insieme, si lasciano dissolvere i pesi sull’anima, si individua la traccia sul proprio sentiero, si scopre ciò che ci unisce tutti al di là delle limitazioni illusorie e dai confini tracciati dai sensi fisici e dalle nostre opinioni e credenze.

Ogni volta che nei gruppi si legge una carta la si vive: diventa lo spunto per una meditazione, una canzone, una celebrazione, una condivisione. Se arriva la spirale, che è simbolo del movimento (apparente) del tempo, si compie una danza in spirale; se arriva la Celebrazione, chi ha ricevuto la carta conduce un rituale coinvolgendo le altre persone; se arriva la danza… ogni volta è diverso, e conducendo l’esperienza in modo non-direttivo ogni volta avvengono cose nuove e appropriate alla situazione. Le persone hanno modo di aprirsi al messaggio mettendolo in comune con gli altri. È successo che una persona che necessitava di sostegno ha ricevuto la carta dell’Abbandonarsi e si è lasciata sostenere fisicamente da tutti i presenti; è successo che alla Carta del Sogno è seguito l’invito a esprimere il proprio desiderio e a viverlo al momento; alla carta della Gratitudine è corrisposta la celebrazione della comunanza con tutti i presenti attraverso il Namasté indiano, il saluto cerimoniale che significa il riconoscimento della divinità presente in ciascuno.  

È un gioco bellissimo e serio: attraverso il gioco impariamo a vivere fin da bambini, e anche oltre. Da adulti, riscoprire il gioco e la sua magia è un toccasana. Ci si può trasformare nella leggerezza, come una farfalla (è la carta della Trasformazione, ed è il simbolo della psiche) diviene se stessa uscendo dall’involucro in cui è temporaneamente avvolta e volando via leggera e colorata.

Molti di questi incontri vedono la partecipazione di Luz Amparo Osorio, che prende spunto dalla carta per condividere momenti di celebrazione collettiva, canto e meditazione; ad altri incontri hanno partecipato collaborando alla conduzione ricercatori fra cui la pittrice e insegnate d’arte e musicista Patrizia Curcetti, la danzaterapeuta e counselor Francesca Pantò, Piero Pierangeli, Nirava Dainotto.

Tutti questi cerchi sono stati momenti importanti di rispecchiamento per i partecipanti, che grazie all’Insight e alla condivisione hanno trovato la via per comprendersi meglio e per rendersi conto delle proprie dinamiche interiori e relazionali.

Per entrare nel modo migliore in questa condizione, si introducono semplici tecniche e pratiche per la visualizzazione, il rilassamento e l’autocentratura; si crea un’atmosfera di gruppo coinvolgendo le persone in attività comuni di auto percezione, di contatto e di scambio energetico.

Quindi si scelgono “a caso” le carte. Di solito in un primo momento si tengono coperte e ci si sintonizza in questo modo con l’immagine senza neppure guardarla, tenendole sul cuore; poi ciascun partecipante le guarda senza focalizzare lo sguardo sui dettagli ma sull’insieme; infine ciascuno a turno le mostra agli altri: a questo punto, guidati dal conduttore in modo non direttivo, i partecipanti contribuiscono alla lettura e scambiandosi le impressioni e le suggestioni ricevute. Da ciascuna carta può scaturire una condivisione esperienziale. A volte invece non si girano neppure le carte ma le si guarda solamente dopo aver vissuto l’esperienza (una visualizzazione, un viaggio sciamanico, una meditazione, una pratica energetica o altro).

Nelle letture individuali non si fa un’interpretazione secondo lo stile dei cartomanti né si interviene come terapisti: semplicemente si suggerisce una breve traccia e si chiede poi alla persona stessa di esporre quanto emerge dalla visione della carta, lasciando che si palesi sia a livello verbale che di consapevolezza corporea. Inizialmente si fanno mischiare le carte dalla persona stessa che diventa così immediatamente “attiva” e contemporaneamente ricettiva. Quindi si dispongono le carte secondo alcuni schemi-base che guidano nella lettura. Come in gruppo, si evita un’interpretazione mentale e si suggerisce alla persona di entrare in contatto con l’immagine e di esprimer le proprie sensazioni, percezioni, emozioni e stati d’animo. Si entra in un dialogo dal quale nascono nuove consapevolezze grazie all’emersione dei vissuti inconsci ora palesati. È un lavoro più affine al lavoro di counseling che alla terapia: sia in gruppo che individualmente, è la persona stessa che studia se stessa rispecchiandosi nell’altro e nell’immagine, che individua e persegue le sue strategie e che definisce il proprio obiettivo partendo dal messaggio-immagine ricevuto.

La carte sciamaniche sono dunque uno strumento di lavoro immaginale e simbolico affine agli Arcani maggiori dei Tarocchi, ma a differenza di questi, che hanno un contenuto simbolico tradizionale e codificato, sono nuove, aperte all’influsso delle tradizioni spirituali di tutta l’umanità e in particolare a ciò che definiamo sciamanesimo, che in sostanza è la via della sperimentazione diretta delle realtà ultrasensibili.

Le presentazioni e i seminari

La prima presentazione pubblica sperimentale risale all’inizio del 2011 a Milano; da allora sono stati tenuti oltre una ventina fra incontri, presentazioni e seminari fra cui eventi in occasioni di fiere e di festival (alla Fiera della Microeditoria di Montichiari, alla Biofera di Canzo, al Festival Lo Spirito creativo di Riva del Garda), e molte letture individuali, in diverse città in Italia e dal 2014 anche in Svizzera. Ci sono stati seminari, incontri e letture più volte ai Sentieri del vento, centro di Milano specializzato sulle culture sciamaniche, e sempre a Milano al ristorante Il Grandecerchio, all’associazione culturale I Per-Corsi di Pan, presso la scuola di counseling ARDE di Isabella Tavilla, all’Istituto Cosmos, nei centri Shunyata, Ahimsa e Body&Mind; altrove i seminari e le presentazioni sono stati in diversi centri e luoghi fra cui la libreria Arethusa di Torino, l’associazione Andraste di Forlì, la Nuova Terra di Rodero (Como), il centro d’arte La Corte di Brenta presso Laveno, l’associazione Cerchio Aperto di Garda, lo Studio Danza di Monza, il centro Telepatia e sciamanesimo presso Lugano.

Sui seminari vedi qui>>

Oggi diverse persone le impiegano nelle loro attività di conduttori di seminari per la crescita personale o per letture individuali: fra questi le danzaterapeute Laura Motrassino e Francesca Pantò, l’artista Luz Amparo Osorio, i cultori di divinazione e terapie naturali Luca Dragone, Mariangela Converso, Marialuna Tremolada, Virginia Brand.

Le pubblicazioni

Inizialmente stampate in proprio, le Carte sono state pubblicate in formato elettronico come ebook nel 2012 dall’editore Area51 Publishing>> e nel 2013 in formato cartaceo dalle edizioni Lalbero>> con la prefazione di Lorenzo Ostuni (riportata più avanti). Sono dunque acquistabili e tutilizzabili da chiunque voglia approfondirle: in entrambe le pubblicazioni sono introdotte le singole carte con i testi che le illustrano e ne guidano la lettura, e i metodi per leggerle individualmente e in gruppo. Nei seminari si insegna anche a utilizzarle, anche se ciascuno è invitato farle proprie trovando una propria strada per leggerle.

 

 

Prefazione di Lorenzo Ostuni a Le carte sciamaniche

Ringrazio emozionato  il Maestro Lorenzo Ostuni che ha preso con sé le mie carte e ha scritto questa prefazione per il libro uscito con le carte, per l'Editore Lalbero 
 
Prefazione di Lorenzo Ostuni*

LO SCIAMANESIMO PLANETARIO

Stefano Fusi ha fatto un lavoro di sintesi tematica dello sciamanismo planetario, sia in termini di pensiero che in termini immaginali, di sorprendente interesse e intensità, ampiezza e specificità. Le carte si raggruppano spontaneamente in due o tre serie diverse (o forse più), con prevalenze formazionali e informazionali differenti e volta a volta caratterizzanti. L’ideologia sottostante che sembrano privilegiare è principalmente di carattere culturale (culture antropiche umane) piuttosto che psicoproiettive (ovvero junghianesimo e dintorni). Il filone culturale cui fanno riferimento e la cui conoscenza ne facilita l’accesso è quello della cosiddetta New Age nella sua parte nobile, ovvero le Informazioni e Formazioni Cognitive di fatto molto diffuse (se non prevalenti) negli ultimi 30 anni: da una parte le sperimentazioni di Esalen, la scuola internazionale della Nuova Coscienza cui ho partecipato con il mio Biodramma, la Mirror Therapy e i sistemi oracolari; dall’altra le rivelazioni di Castaneda.

Questo è l’ambito culturale che caratterizza l’interesse e il coinvolgimento verso le Carte sciamaniche. Questo straordinario lavoro è l'unico che mi ripropone di fresco e in generale le "tremende questioni" che mi posi dagli anni ’60 per sviluppare i miei sistemi oracolari, che stanno riportando in vita dopo millenni le antiche Sibille: le Chimere, le Sfingi, il Nekronomikon e Maya, Odissee e Gorgones, Finiti-Infiniti, Numeroscopio, Alchimie d'Amore e negli ultimi anni Prima Pietra, basata sul prodigioso ritrovamento archeologico in un terreno della mia famiglia, in Basilicata, di una statua di Dea Madre, di altre statue e di utensili del Paleolitico Antico (datazione: 500 mila anni fa). Un segno quest’ultimo che riporta ancora indietro la sorgente temporale di queste Rivelazioni, fino alle origini.

Queste carte mi colpiscono perché Stefano Fusi per idearle e realizzarle (oltre alle sue manualità disegnativo-pittoriche) ha correttamente fatto ricorso ad attitudini sistematico-combinatorie di una speciale tipologia: suggestione mantica, suggestione cartomantica, suggestione antropico-culturale, Nuova Era Esaleniana. Il suo procedere sciamanico-culturale-mantico mi ricorda per ispirazione progettuale le Gorgoni, quattromila pietre rituali provenienti dallo sciamanesimo di tutto il mondo, che costituiscono il nucleo principale del mio Museo dei Simboli), un sistema planetario del Pensiero Sciamanico Globale, con cui interagiscono tre volumi di oracoli (111 Psicogrammi, 111 Cronogrammi e 111 Ontogrammi).

*Lorenzo Ostuni è un filosofo, simbologo e terapeuta italiano di fama internazionale. Fin dagli anni ’60 si è dedicato allo studio dei simboli e al loro utilizzo come strumento per la conoscenza profonda di sé stessi e l'autorealizzazione. Diversi sono i sistemi semiologici, simbologici e letterari da lui creati a questo scopo (i più noti: il Biodramma, la Mirrors therapy, le 99 Chimere, le Sfingi). Tantissime sono le persone (anche molto note come Fellini, Gassman, Anghelopoulos) che hanno frequentato il suo centro studi La Caverna di Platone a Roma, così come migliaia i partecipanti ai suoi seminari in Italia e negli Stati Uniti, dove ha insegnato presso l'Esalen Institute, il più importante centro mondiale per lo sviluppo del potenziale umano. Lorenzo Ostuni è stato anche autore di programmi tv (uno dei successi: Misteri su Rai 2 e Rai 3) e produttore di sceneggiati televisivi e di grandi film d’autore premiati a Cannes e Venezia. Attualmente è spesso ospite di altre trasmissioni Rai e Mediaset di grande ascolto. Tra i suoi libri: "Amare ed essere amati" (Tecniche Nuove Edizioni, 2007) e "99 chimere" (Tecniche Nuove Edizioni, 2003).

  

I SEMINARI CON LE CARTE SCIAMANICHE

Le carte sciamaniche sono uno strumento di divinazione che offrerisposte sorprendenti e precise su ciò che la vita ci sta chiedendo e ci prepara. Spiriti, animali, piante, elementi, tappe del viaggio dell’anima: ciascuna immagine rappresenta un messaggio vivo, da leggere e interpretare, che arriva al momento giusto per ispirarci e guidarci risvegliando le nostre energie interiori.

Sono lette sia individualmente che in gruppo. La loro lettura è una meditazione dinamica cui si partecipa rispecchiandosi individualmente nelle carte con la partecipazione di tutti i presenti, e mettendo in atto le carte estratte per trovare le risposte che dimorano nel profondo del cuore. Vengono utilizzate in seminari, corsi ed esperienze di crescita personale come strumento di ispirazione e insight.

Le carte sciamaniche di Stefano Fusi sono un sistema di simboli che permette di specchiarsi nella natura e nelle sue forze per comprendere intuitivamente il proprio stato attuale e le prospettive della propria vita.

Sono una porta attraverso cui entrare in profondità in noi stessi ed aprirsi alla meraviglia. Sono state ricevute in anni di esplorazione del mondo che chiamiamo “reale” e degli altri mondi, altrettanto reali, che chiamiamo sogno, trance, estasi, incanto, estasi, magia.

Attingono al patrimonio simbolico, immaginativo e spirituale di tutta l’umanità, alle cui radici c’è il sistema di conoscenza e guarigione che definiamo sciamanesimo: il sostrato universale da cui sgorgano tutte le vie di ricerca e di guarigione.

Antica di almeno 40.000 anni, la via sciamanica è quella dell’esperienza diretta delle dimensioni ultrasensibili e della sua integrazione nella vita quotidiana attraverso le cerimonie di celebrazione, per stabilire una connessione con le forze basilari che reggono la nostra esistenza.

Per gli sciamani, la divinazione è uno dei metodi per entrare nei mondi ultrasensibili e riportarne i simboli e i messaggi degli spiriti nella realtà ordinaria. Le immagini, i sogni, le visioni ricevute in trance diventano strumenti di guarigione e di consapevolezza, condivisi nella comunità per progredire e vivere meglio insieme nell’equilibrio, nella gioia e nella pace.

Al ritorno dal viaggio, lo sciamano “mette in atto” le sue visioni nelle cerimonie.

La celebrazione stabilisce e rinsalda l’unione del gruppo attorno ai fondamenti originari della vita onorando le relazioni che abbiamo con tutto il mondo vivente, con le persone presenti e quelle che non sono più o non sono ancora presenti, con le forze naturali e con le entità di tutti i mondi.

Programma di base del seminario

-       Connessione nel cerchio sacro

-       Il viaggio sciamanico con il tamburo

-       L’immedesimazione con lo spirito guida

-       Introduzione alle carte sciamaniche e alla divinazione individuale

-       I metodi di lettura e l’approccio all’interpretazione

-       Esperienze di lettura dei segni sincronici, di “casualità controllata” e di immaginazione creativa

-       Lettura di gruppo delle carte e loro rappresentazione.

 

Requisiti e condizioni di partecipazione

-       apertura all’ignoto e alle possibilità dell’esistenza

-       disponibilità a mettersi in gioco contribuendo all’energia del cerchio

-       desiderio di portare alla luce i propri talenti

-       attitudine ad esplorare e manifestare le proprie potenzialità immaginative e creative.

 

Materiali

Vengono utilizzati e illustrati nel loro uso pratico il mazzo di 64 carte originale dell’autore, pubblicato da Edizioni Lalbero, sia a richiesta l’Ebook pubblicato da Area51 “Le carte sciamaniche digitale per la guarigione e la conoscenza”.

Nel seminario sono a disposizione per l’acquisto le carte con il testo che ne illustra le genesi e guida all’utilizzo, al costo di 30 euro invece di 35 (prezzo intero). 

Guarda Il video di presentazione delle carte>>

Il video che le riporta integralmente>>

 

WU WEI - L'ARTE NATURALE

Laboratorio di espressività condotto da Stefano Fusi

Esprimersi, comunicare, risanarsi e celebrare con gli elementi naturali; costruire oggetti artistici “di potere”, mandala e “altari naturali”. 

Ciascuno di noi è artista, perché ciascuno di noi è natura. 

Wu Wei nell’antica filosofia taoista significa “agire senza agire”, o meglio “agire senza interferire” (con il corso naturale delle cose). 

In questo laboratorio non si imparano tecniche artistiche particolari, ma le si utilizza per fare esperienza dell’aprirsi all’arte e alla creatività della natura.

Gli obiettivi del laboratorio 
- Liberare e gestire le proprie energie creative, le potenzialità mentali e i talenti. 
- Scoprire e sviluppare la propria creatività attraverso il rilassamento, la visualizzazione e l’immaginazione. 
- Individuare e ridipingere il proprio ritratto interiore.
- Usare gli oggetti naturali come strumenti di autoespressione e comunicazione: contattare e manifestare i propri contenuti spirituali in modo sorprendentemente facile e soddisfacente, portando chiarezza nella propria vita di tutti i giorni e nelle proprie relazioni.

Per partecipare.

Il Laboratorio è rivolto agli adulti ed aperto a tutti, senza limitazioni di età, professione o preparazione: non occorre essere artisti né aver svolto studi e ricerche particolari, al contrario chiunque può partecipare. 

Non servono materiali particolari (quelli utili saranno a disposizione dei partecipanti). 
Unica condizione: bisogna arrivare al laboratorio scegliendo prima, in natura, oggetti ed elementi con cui vogliamo esprimerci.
Per sceglierli, occorre solo lasciar andare aspettative e giocare come bambini, lasciandosi trovare dalle cose: qualsiasi cosa ci piaccia e ci attiri, foglie, sassi, pigne, ghiande e semi, penne e piume, conchiglie, sabbia. L’estate e le vacanze sono è il momento ideale per raccoglierli. 

Comunque chi dipinge o scolpisce o fa altri lavori artistici ed espressivi può portare i propri materiali e strumenti di lavoro, che potranno essere utilizzati compatibilmente con l’andamento del laboratorio, che non è programmato rigidamente ma si struttura in base ai partecipanti. 

Programma 
Pratiche per entrare in sintonia con se stessi e gli altri, liberare e gestire le proprie energie e potenzialità espressive, relazionali e di comunicazione, scoprire e sviluppare la propria creatività: 
- focalizzazione psico-corporea e percezione di se stessi attraverso il movimento, l’immaginazione guidata e la visualizzazione, il ritratto interiore
- esperienze di espressività e giochi relazionali. 

Esperienza di arte naturale
- tecniche per utilizzare oggetti naturali come strumenti di autoespressione e comunicazione e costruire oggetti di oggetti artistici semplici e alla portata di tutti, oggetti di potere e rituali, mandala e “altari” con materiali naturali 
- sperimentare la loro valenza simbolica nella ritualità 

Tutti possiamo esprimerci, l’arte è celebrazione della bellezza della natura 

Per esprimersi in forma artistica il primo ostacolo da superare è quello della mancanza d’autostima: in genere si pensa di non essere in grado di esprimersi attraverso la grafica e la pittura, ritenuti campi per pochi eletti o capaci. Al contrario, come si è capaci di camminare, così si è capaci di tracciare segni o scegliere e usare colori e forme. Magari non si è tutti artisti ma questo non significa che non si debba o possa esprimersi; sarebbe come dire che solo i campioni olimpionici hanno diritto di correre. Si tratta di abbandonare convinzioni autolimitanti ed errate e affidarsi alle proprie risorse con fiducia e con una buona dose di giocosità e semplicità, senza paura del giudizio e senza giudizi nei confronti di altri. Le doti d’espressione possono anche essere poco “allenate” ma esistono in ciascuno di noi.
E la natura ci aiuta. È la grande artista. Dobbiamo solo affidarci ad essa, alla sua forza e saggezza. 
A differenza delle tecniche grafiche e pittoriche, che richiedono comunque, almeno in prospettiva, un minimo di capacità tecniche e conoscenze dei materiali, utilizzando oggetti naturali si privilegia ancora di più la creatività, l’intuizione, l’attenzione al rapporto quotidiano che abbiamo con gli oggetti, l’ambiente, la natura che ci circondano e con cui siamo in relazione di interdipendenza. 
Scegliere, usare come mezzi di espressione e simbolico oggetti naturali e comporli è creare uno spazio sacro e meditativo che può trasformare la nostra vita e portarci a una profonda connessione con noi stessi. 

L’espressione artistica con gli elementi naturali 
Dalle avanguardie artistiche più dirompenti in poi (dadaismo, surrealismo, fino alla cosiddetta arte povera e alla land art, l’arte del paesaggio che opera in natura con elementi naturali) l’utilizzo di oggetti semplici, riciclati (trash art) o naturali è entrato nella coscienza comune quale espressione artistica che ha pari dignità rispetto alle forme artistiche convenzionali e accademiche. 
E l’interesse per le filosofie orientali (zen e buddismo) e per le culture di popoli nativi ha spinto a riconsiderare l’importanza, non solo antropologica ma quale strumento culturale attuale, di pratiche quali i mandala tibetani o le pitture di sabbia dei Navajo, per fare solo due esempi, che vengono effettuate solo a scopi cerimoniali e poi distrutte, o i giardini zen, che variano secondo lo stato d’animo dei curatori secondo principi di ricerca interiore. Anche alcune correnti della psicanalisi e della psicoterapia usano tecniche affini, per esempio il sand-play (la modellazione della sabbia), nel loro iter terapeutico. 
In ogni caso l’uso di questi materiali e di queste attitudini creative ed espressive ha molti vantaggi perché valorizza momenti ed esperienze comuni, è una pratica ecologica, economica e alla portata di tutti, divertente e semplice quanto profonda. 
Le tecniche proposte sono utilizzate con successo nei campi della formazione, dell’educazione, dell’animazione. 
In particolare sono utili per operatori della salute naturale, counselor, operatori sociali, insegnanti, persone che stanno affrontando momenti di cambiamento, transizione e trasformazione. 

 

LA VISIONE SACRA DELLO SCIAMANO

L’arte cerimoniale dei popoli di cultura sciamanica è un mezzo per specchiarsi nella realtà divina. Le immagini sacre realizzate per i rituali trasportano nella vita quotidiana le visioni  e ne trasmettono l’energia di guarigione. Sono portali attraverso cui è possibile accedere al mondo spirituale e celebrare le potenze immateriali che guidano il cammino terreno.

(articolo apparso sulla rivista “L’Arte di essere”, dicembre 2013)

La prima pace… è quella che si manifesta nell’anima degli uomini quando prendono coscienza dei legami che li uniscono all’universo e a tutti i suoi poteri.

(Alce Nero, medicine-man Lakota, dal libro di John G. Neihardt Alce Nero parla)

Tutta l’arte è sacra perché fa parte della vita, che è sacra. La natura è sacra, il corpo è sacro, la Terra e il Cielo sono sacri, l’amore è sacro, gli esseri umani e gli animali, le piante e gli elementi sono sacri: è sacro ciò che è nel Tutto, e ogni cosa fa parte del Tutto. In questo mondo limitato, nel quale il Gioco cosmico divino ci illude di essere separati gli uni dagli altri e da tutto ciò che ci circonda, la cerimonia sacra rappresenta il momento in cui gli esseri umani interrompono questa illusione, che a forza di ripetersi diventa verosimile e viene creduta. Nella cerimonia sciamanica i partecipanti sentono e vivono le loro reali connessioni, percepiscono e celebrano la vera essenza della vita. Che è scambio, interrelazione, circolazione, armonia al di là delle apparenti limitazioni.

La cerimonia è l’apertura di un canale collettivo con il divino per leggerne i messaggi, onorare l’intera esistenza, riconoscere la propria appartenenza a un cerchio universale. Si fa non tanto per ottenere qualcosa di specifico – potere, guarigione, benessere - quanto per ripristinare, periodicamente, il senso della propria identità di gruppo e  personale. Questa è la vera guarigione: una pulizia globale, un “tagliando” spirituale che si ripete nel tempo, una manutenzione psicoenergetica della propria persona e del gruppo con cui si vive.

La nostra mente individuale fa da filtro, consentendoci di ricevere solo una piccola parte dell’infinito e di mantenerci collegati con una sola dimensione, quella fisica individuale, fino a farci credere di essere “degli io incapsulati nella nostra pelle”; ma la realtà è più ampia, e ogni attimo di consapevolezza che blocchiamo con il nostro filtro resta come residuo che si accumula disturbando le nostre percezioni della realtà. Il nostro filtro ha bisogno periodicamente di essere ripulito dalle incrostazioni (i rifiuti di ciò cui non permettiamo di entrare). A questo servono le cerimonie: togliamo il filtro, entriamo in contatto con la vasta realtà spirituale, eliminiamo dal filtro le scorie delle negazioni necessarie a sostenere la nostra vita corporea limitata, lo rimettiamo poi al suo posto ripulito e sgombro per proseguire la nostra vita comune con una nuova consapevolezza. I Nativi americani sostengono che ciò che conta è “Stare con quello che c’è”, e vivono contemporaneamente nel mondo fisico e in quello spirituale, entrambi reali, nella consapevolezza che l’uno è l’altro in forme diverse e che possiamo conservare la coscienza espansa anche nella materia.

La cerimonia cambia, si trasforma nel tempo ma mantiene intatte le strutture di base: definizione di uno spazio e di un tempo sacri e uscita dalla quotidianità, viaggio nell’ultrasensibile, immersione nel flusso vitale, accantonamento dell’ego, perdita temporanea dei confini fra sé, gli altri e il mondo, riconnessione nel momento presente, condivisione con gli altri membri del gruppo. In una parola: sia apre un “campo” d’esperienza. “Campo” nel senso che oggi dà a questa parola la fisica: l’insieme energetico che allo stesso tempo scaturisce dai singoli fenomeni e ne è lo stampo e il contenitore. 

Uno dei mezzi per entrare in connessione con il divino è quella che chiamiamo arte, ovvero l’espressione in forme sensibili di contenuti spirituali: la danza, il suono e la musica, il movimento del corpo, la narrazione. E naturalmente le immagini: nelle cerimonie sacre, le raffigurazioni simboliche giocano un ruolo importante. In un certo senso, tutta l’arte figurativa è stata ed è sacra; ma l’arte moderna e contemporanea occidentale invece ha abbandonato l’aura sacra che ha avvolto l’espressione artistica antica, quella tradizionale e quella propria dei popoli di natura. L’arte attuale è un tassello della mentalità contemporanea: rispecchia una visione culturale materialista, scientista, pragmatica e basata sul conformismo e sull’adeguamento al potere economico-sociale-politico-religioso-tecnologico. La sfera del sacro viene lasciata in gestione alla religione organizzata e riservata a specifici momenti codificati, gestiti da specialisti autorizzati; la scienza parla un altro linguaggio ancora, “oggettivo” e anch’esso istituzionalizzato; l’arte, infine, è divertissement intellettuale commercializzato e non ha finalità spirituali bensì “comunicative” e di status sociale. Certo esistono eccezioni: l’artista è sempre un po’ sciamano; nel campo delle arti visive, soprattutto l’arte concettuale ha in parte fatto rivivere la dimensione catartica, transpersonale e sacra dell’espressione artistica – un esempio per tutti, l’artista-ecologista-sciamano tedesco Joseph Beuys; ma anche il surrealismo prima, l’astrattismo dell’action painting di Jackson Pollock poi e le performance odierne hanno riportato l’accento più sul gesto ispirato e sull’affidarsi all’inconscio, che sull’oggetto artistico prodotto. Nella musica, i concerti – da Bob Marley ai Doors ai Pink Floyd, fino ai rave attuali - oggi rispondono in parte e in modo più o meno conscio, alla ricerca di momenti nei quali andare oltre il velo di Maya, e percepire qualcosa di più ampio. Anche varie correnti del teatro contemporaneo, dal Living Theatre in poi hanno riportato in vita la dimensione corale e comunitaria, quasi cerimoniale e tribale ma comunque catartica, che è all’origine delle rappresentazioni teatrali; le quali affondano le loro radici nelle rappresentazioni mitologiche, danzate, cantate e recitate, delle gesta e delle influenze sull’umano delle forze spirituali e naturali.

Per i popoli di natura e per le culture sciamaniche pervenute fino al nostro tempo, invece, non esiste neppure una cosa definita “arte” in sé, concepita come separata dall’esperienza spirituale. Oggi le necessità economiche e culturali hanno spinto anche gli artisti nativi a vendere le loro opere, mentre un tempo le distruggevano alla fine del rituale, come i mandala orientali, o le mettevano semplicemente a disposizione della comunità. Dunque, quelle che in questo articolo chiamiamo espressioni “artistiche” delle cerimonie delle culture sciamaniche sono definite tali solo per intenderci.

Le mappe del cosmo

Nella cerimonia indigena, come avviene del resto nei Mandala orientali realizzati in meditazione, o come avveniva un tempo nella pittura sacra occidentale, si utilizzano anche immagini simboliche per attivare e rinforzare la nostra connessione con la dimensione spirituale. È un modo per manifestare sul piano esteriore ciò che altrimenti andrebbe persone nel brusio della mente operativa, che di necessità ci stacca dalla nostra sfera interiore per concentrarci sulla superficie delle cose e traghettarci attraverso il mondo materiale. 

Come il suono e il movimento del corpo, come il contatto fisico, come l’utilizzo della saggezza vegetale con sostanze che risvegliano l’olfatto e con le piante-maestro psicotrope, capaci di aprire canali cosmici direttamente nei recessi più intimi delle sinapsi, così le immagini diventano uno dei canali attraverso i quali la mente e l’anima delle persone coinvolte nella cerimonia si collegano con i contenuti universali dell’esperienza sovrannaturale. In questo modo lo sciamano che conduce la cerimonia mette in scena le proprie visioni e ripristina il “disegno” armonico che sta sotto e oltre la vita quotidiana. Traccia una mappa visiva delle nostre connessioni vitali con l’intero universo. Le immagini diventano psicocosmogrammi” che hanno la funzione di riportarci in connessione e in equilibrio con le forze spirituali che governano la nostra vita. Forze rappresentate sotto forma di spiriti e antenati, venti o direzioni, terra e cielo, piante e animali.

Tutte le vie di ricerca e di guarigione sgorgano dal sistema di conoscenza e guarigione che definiamo sciamanesimo. Antica di almeno 40.000 anni, la via sciamanica è quella dell’esperienza diretta delle dimensioni ultrasensibili e della sua integrazione nella vita quotidiana. Lo sciamano è “il tecnico del sacro” che accede ai mondi ultrasensibili e ne riporta i simboli e i messaggi degli spiriti nella realtà ordinaria. Le visioni ricevute diventano strumenti di guarigione e di consapevolezza, condivisi nella comunità per progredire e vivere meglio insieme nell’equilibrio, nella gioia e nella pace. Al ritorno dal viaggio, lo sciamano “mette in atto” le sue visioni nelle cerimonie. La celebrazione stabilisce e rinsalda l’unione del gruppo attorno ai fondamenti originari della vita onorando le relazioni che abbiamo con tutto il mondo esistente, con le persone presenti e quelle che non sono più o non sono ancora presenti, con le forze naturali e con le entità di tutti i mondi.

Oggi grazie alla scienza olistica sappiamo che i popoli nativi, ben lungi da essere “primitivi”,  sono i popoli più moderni al mondo. Quelli che chiamiamo popoli “sciamanici” sanno, ancora oggi, ciò che noi stiamo riscoprendo solo adesso: che tutto è collegato in reti interconnesse di materia-energia-luce. Sanno da sempre che ogni cosa è medicina, nel senso di “potere curativo”. Sanno da sempre che tutto ciò di cui abbiamo bisogno è dentro di noi, nel nostro respiro, nel nostro corpo, nel battito del cuore, in ogni filo d’erba e in ogni alito di vento e in ogni atto con cui entriamo in comunicazione con l’esterno.

Ora lo stiamo riscoprendo: ma per noi occidentali è necessario, proprio come avvenne a Castaneda, uscire dagli schemi per rientrare nella realtà che chiamiamo “non ordinaria”, ma che è più vasta e più vera di quella che chiamiamo comunemente “reale”. È un’ecologia profonda, fisica, mentale e spirituale al contempo. Un’ecologia totale che ci fa vedere i veri legami fra le cose, la circolazione e le interconnessioni al di là delle dighe dei nostri pensieri. E la via maestra per questa apertura spirituale è la celebrazione rituale, che unisce i fili delle nostre vite in cerchio e li esprime con la danza, la musica, le immagini, i gesti.  

Il cerchio cerimoniale trascende le limitazioni spaziotemporali e riproduce la circolazione dell’energia nei cicli vitali, le orbite dei pianeti, il percorso del Sole in cielo, l’unione degli opposti-complementari. Le opere che chiamiamo d’arte realizzate nelle e per le cerimonie, sono in realtà offerte sacre e strumenti per chiamare lo Spirito a presenziare, affidandogli la guida della nostra vita. Sono specchi che riflettono, nel mondo quotidiano, la condizione divina del Tutto indifferenziato, l’energia spirituale degli antenati e degli esseri viventi, la realtà di luce che solo oggi, con la fisica quantistica, noi occidentali sappiamo essere l’altra faccia della realtà fisica, non un regno separato e a se stante ma semplicemente il sostrato immanifesto di ciò che è visibile agli occhi. L’officiante-sciamano-artista ha il compito di rappresentarla visivamente e nel rituale, che impiega oggetti naturali simbolici. L’intero rituale compone di per sé un’altra, più complessa, manifestazione “artistica”; e anche se c’è un officiante – lo sciamano – o ci sono più officianti, è tutta la comunità la protagonista dell’evento.

Nella cerimonia sacra è la sorgente di tutto quello che è diventato il fiume, e poi l’oceano, dell’arte come la intendiamo oggi: teatro (rappresentazione), letteratura (narrazione), musica (espressione canora e sonora), pittura e scultura (rappresentazioni visuali), architettura (edifici adibiti alle cerimonie sacre). Non solo: c’è la terapia, c’è il benessere, c’è il collante sociale… Tasselli di un unico puzzle che tiene insieme la comunità in un cerchio organico.

Fra le espressioni rituali più potenti dei Nativi americani sono le pitture di sabbia dei Navajos, le Nierikas degli Huicholes del Messico, le pitture degli Ayahuasqueros dell’Amazzonia. Fra le  cerimonie più complesse, complete e dal valore simbolico più elevato c’è la Sundance, la Danza del Sole, conservata dai Lakota-Sioux, nella quale l’intera comunità diventa opera d’arte vivente e canale di Wakan-Tanka, il Grande Mistero spirituale. E la Ruota di Medicina è la rappresentazione fisica della nostra condizione di esseri posti al centro di una rete infinita e armonica di relazioni.

‘IIKAAA, LE PITTURE SU SABBIA NAVAJO

“Il luogo dove gli Dei vengono e vanno”: è la traduzione approssimativa del nome che danno alle pitture di sabbia i Dinè (così i Navajo chiamano se stessi: significa “il popolo”). Le pitture di sabbia vengono preparate per collocarvi le persone da curare e come strumento di “psiconavigazione” nelle cerimonie condotte dagli hataathli, i medicine-men specializzati nella guarigione. Hanno la funzione di comunicare con gli spiriti che influenzano il mondo naturale e umano, gli yeibeichai. Meravigliose nella loro semplicità e di grande impatto anche sul piano puramente estetico, le pitture vengono preparate da più artisti contemporaneamente in genere sul pavimento in sabbia di un hogan, la casa tradizionale Navajo. Si utilizzano coloranti di origine vegetale o minerale, polline e altri elementi naturali. Sono la trascrizione visiva di canti di guarigione e di preghiera e rappresentano gli esseri sacri, lo spirito del sacro Mais, Padre Cielo e Madre Terra, i serpenti-antenati, le Quattro Direzioni dello spazio, il territorio sacro della nazione Diné, e molto altro ancora. Alcune sono grandi anche sei metri di diametro; al termine della cerimonia vengono distrutte, proprio come i mandala: la sabbia consacrata viene di nuovo affidata al Vento, personificazione dell’energia vitale che dà forma e sostanza al mondo (il polline, messaggero di vita, è uno degli elementi con cui vengono realizzati i colori delle pitture). Si compie così il ciclo vitale: questo atto finale apparentemente dissipativo è un germe di nuova vita. L’umiltà di affidarsi al Vento con fiducia rinforza la connessione con lo spirito.

Le cerimonie tradizionali Navajo sono rappresentate come una pianta di mais, il cui stelo principale è la cerimonia più importante, BlessingWay, la “Via della Benedizione”: Hózhóójí. Dura anche quattro giorni e vi si narra dettagliatamente la genesi Navajo, il mito delle origini dai mondi sotterranei e le imprese delle Persone Sacre. Per i Navajo che seguono la tradizione spirituale, il loro popolo esisterà solo finché verrà celebrata. Hózhóójí è particolarmente importante in tre momenti della vita: la nascita, l’ingresso delle fanciulle nella pubertà, il rinnovamento delle custodie di medicina (jish); è un’assicurazione sulla vita e garantisce salute e prosperità.

I Dinè vivono in luoghi dalla natura spettacolare e incomparabile, basti ricordare la Monument Valley, il Grand Canyon e il Canyon De Chelly, e ne riversano la bellezza in queste immagini per venerarne l’essenza spirituale. Come i Lakota-Sioux, oggi alcuni dei loro uomini-medicina sentono anche la spinta a condividere con i bianchi occidentali lo spirito delle cerimonie: il più noto in Italia è Francis Mitchell, “cantore” tradizionale e guaritore che ha condotto anche nel nostro Paese la Blessingway e le Capanne di Sudore. 

Al giorno d’oggi, le pitture su sabbia sono invece anche un oggetto commerciale. Il loro straordinario potere evocativo ha influenzato anche l’arte contemporanea: Jackson Pollock rimase profondamente colpito dalla ritualità Navajo e tentò di travasarne l’ispirazione nel suo “Dripping”, la pittura “sgocciolata” con gesti potenti, che lo rese celebre. A segnare l’abisso che separa ancora comunque il nostro mondo occidentale dalla vita spirituale genuina tradizionale, avvenne che la sua pittura fu fonte di denaro ma non proprio di salute e benessere. Non era inserita in un contesto sacro, come invece quella originale Navajo.

Con il cuore colmo di vita e di amore camminerò.

Felice seguirò la mia strada.

Felice invocherò le nuvole cariche d’acqua.

Felice invocherò la pioggia che placa la sete.

Felice invocherò i germogli sulle piante.

Felice invocherò polline in abbondanza.

Felice invocherò una coperta di rugiada.

Voglio muovermi nella bellezza e nell’armonia.

La bellezza e l’armonia siano davanti a me.

La bellezza e l’armonia siano dietro di me.

La bellezza e l’armonia siano sotto di me.

La bellezza e l’armonia siano sopra di me.

Che la bellezza e l’armonia siano ovunque, sul mio cammino.

Nella bellezza e nell’armonia tutto si compie.

 

“Canto notturno” Navajo

 

NIERIKA, GLI “SPECCHI DEGLI DEI” HUICHOLES

Gli Huicholes (o Wixárica) sono uno dei popoli indigeni messicani che meglio hanno conservato la propria tradizione culturale e spirituale, anche per via dell’isolamento nelle impervie regioni della Sierra Madre Occidentale; solo oggi le loro terre sacre, Wirikuta, sono minacciate dall’espansione economica (piantagioni ed espropriazioni di terreni).

Gli Huicholes compiono periodicamente un  pellegrinaggio sacro alla ricerca della comunicazione diretta con lo spirito, tramite le cerimonie condotte dagli sciamani, i Marakaame. In queste cerimonie viene impiegato il Peyotl, il cactus dai poteri psicotropi (contiene il principio attivo mescalina) del quale consumano a scopo rituale la parte esposta all’aria. Le visioni favorite dal Peyotl sono riprodotte nei Nierika, opere visuali complesse, dalle forme fantasmagoriche e dai colori sgargianti. Sono strumenti per conservare nello stato di veglia ordinario le rivelazioni ottenute in estasi durante la cerimonia sacra. Il Peyotl è l’equivalente dell’ostia e del vino nella messa cristiana nelle cerimonie della Native American Church, sorta per proteggere e legalizzare l’uso delle sostanze cosiddette psichedeliche nei rituali indigeni contro la criminalizzazione che avevano dovuto subire. Anche altri popoli, come i Tarahumara, ne conoscono l’uso tradizionale.

Nierika significa “vedere”, “essere vivo”, “essere sveglio” o “consapevole”. Per gli Huicholes, i fenomeni naturali sono il Nierika delle divinità, degli spiriti e degli antenati. La terra è il Nierika di Nostra Madre Yurienaka; il Sole è il Nierika del cosmo. Wirikuta, la terra degli Huicholes, è il Nierika della storia vivente, e loro stessi sono il Nierika degli avi. La realtà sprituale, insomma, non si può vedere direttamente ma attraverso degli specchi-nierika che rivelano le potenze immateriali che sottostanno ai fenomeni naturali.

Le Nierika sono realizzate con una tecnica elaboratissima. Si ricopre una tavola di legno con cera d’api mischiata a resina utilizzando il pollice; la si espone al sole per ammorbidire questo strato, che viene poi inciso con uno strumento appuntito per abbozzare con il disegno prescelto; le figure poi vengono delineate con un filo colorato e quindi riempite con altri fili colorati.  Le Nierika rituali sono di forma tondeggiante od ovale, di piccole dimensioni perché vengono trasportate nei luoghi dove vengono tenute le cerimonie, e poi distrutte nel fuoco. Oggi vengono realizzate anche grandi raffigurazioni artistiche, di forma quadrata o rettangolare. I temi che vi ricorrono maggiormente sono le tre entità viventi che fanno da tramite con il divino: il cervo, il mais e il peyotl.

Alcuni opere di artisti Huichole, come quelle di José Benítez Sánchez, sono veri e propri libri illustrati, interpretati dagli sciamani secondo le loro conoscenze ancestrali. Le quali oggi non sono più inaccessibili come un tempo, anche se conservano la loro potenza esoterica che ha ispirato fra gli altri Aldous Huxley con i suoi studi sulla mescalina (il principio attivo del Peyotl) che apre le “Porte della percezione”, i Doors e lo stesso Castaneda con le sue rivelazioni sull’universo tradizionale degli Indios messicani. Gli Huicholes di recente sono usciti forzatamente dal loro isolamento e sono venuti anche in Italia, soprattutto per trovare solidarietà nella loro attuale battaglia per la difesa della terra minacciata dalle multinazionali dell’estrazione mineraria e dalle piantagioni: uno degli sciamani Huichole che preservano la tradizione dei canti e delle danze cerimoniali, Don Josè Ramirez, le ha condivise nel nostro Paese.

 “Il Fuoco (Tatewari), il Sole (Tayaupá) e Wirikuta (la Terra sacra del Peyotl) possono trasmettere la visione (Nierika). Anche lo sciamano può trasmettere la visione ma non deve mai dimenticare gli spiriti, sono loro che aprono il cuore alla bellezza della Nierika.” 

Don Josè Matsuwa, sciamano Huichole

AYAHUASCA, LA MEDICINA SACRA DELL’AMAZZONIA

È stato riconosciuto dal Governo peruviano e tutelato come patrimonio culturale: l’uso tradizionale della Ayuhasca insomma, al pari del Peyotl, non ha nulla a che fare con il consumo di droga secondo lo stile occidentale moderno. Lungi dallo sballo, l’impiego di piante psicoattive è uno strumento di conoscenza e guarigione. Ahayuasca è il nome dato a una mistura prodotta con una liana e altre piante tipiche dell’Amazzonia, usata a fini cerimoniali. Non è un allucinogeno, come si ritiene normalmente confondendo il mezzo e il fine: le visioni prodotte dal suo consumo sono enteogene, ovvero “ispirate dalla divinità” (dal Greco entheosgenesthai,  "che ha Dio al suo interno"); le visioni non sono prodotte dalla pianta in sé, ma direttamente dalla divinità, di cui la pianta è solo una messaggera. A livello fisiologico, la sostanza agisce sulla ghiandola pineale, la nostra “antenna spirituale”. L’Ayahuasca viene chiamata nelle cerimonie anche “Nonna”, con grande affetto e riconoscenza. La cerimonia nella quale viene assunta è condotta da sciamani esperti a fini di guarigione: si aprono porte sul mondo spirituale e la fantasmagorica potenza dell’esperienza è contenuta nell’ambito cerimoniale e comunitario, affinché non sopraffaccia chi vi partecipa e abbia un valore di crescita. Oggi anche questa tradizione s’è in parte adattata alla contemporaneità, diventando perfino un culto organizzato in Brasile, mentre in Perù resta più parte della medicina tradizionale degli Indios. In particolare gli Shipibo hanno conservato questa usanza e dalla metà del secolo scorso gli antropologi, gli studiosi, ma anche i poeti beatnik come Ginsberg l’hanno sperimentata per “allargare l’area della coscienza”. 

Dalle esperienze con l’Ayahuasca nasce una delle forme d’arte spirituale più sbalorditive: i dipinti che raffigurano i viaggi compiuti dallo sciamano nel mondo degli spiriti. Uno dei più grandi artisti è Pablo Amaringo, vegetalista (così sono chiamati gli sciamani specializzati nell’impiego dell’Ayahuasca) e pittore, che illustra il cosmo interiore svelato dalle cerimonie.

Pachamama Pachamama madre vita, luce d’amore

Ti ringrazio per la mia vita per il mio respiro e la mia voce

Ti ringrazio per i miei sogni e per il battere del mio cuore.

“Icaro”, canto tradizionale peruviano dell’Ayuhasca.

WYWANYAG WACIPI, LA DANZA DEL SOLE LAKOTA

Nella cerimonia più importante dei Lakot-Sioux, ogni elemento rituale e gli stessi partecipanti diventano un mandala vivente che riproduce il cosmo, i suoi poteri sacri e le entità spirituali. Il suo nome in lingua Lakota significa “Danzare guardando il Sole” (Wi = Sole, wanyag = guardare, wachipi = danzare). Sono quattro giorni di celebrazione al suono del tamburo e dei canti tradizionali, guardando il Sole cui si rivolgono gli sguardi, i pensieri, le preghiere e le offerte. Questo per  identificarsi con il Grande Mistero, Wakan-Tanka, e rendergli omaggio.

 Il "cerchio del mistero", la struttura nella quale si svolge la cerimonia, è costituito da pali a U rovesciata, collegati da bastoni, ricoperti da frasche di pioppo come a formare un semplice portico in cui vengono ospitati coloro che non "danzano" pur prendendo parte alla cerimonia. All'interno del primo cerchio, un secondo, composto di 405 bastoncini colorati di rosso, con una stoffa rossa a portare le offerte di tabacco: un bastoncino per ciascuno degli spiriti ausiliari. Rizzato al centro del cerchio, c'è il tronco di un pioppo, “scelto” il giorno prima della cerimonia da una vergine, simbolo della vita, tagliato, e coperto da bandiere con i quattro colori sacri, bianco, rosso, giallo, nero, che sono anche i colori delle Quattro Direzioni, delle quattro razze umane e degli elementi. Il pioppo è Waga Chun, l'albero sacro che rappresenta il cammino del popolo dalla Terra al Cielo. Durante questi quattro giorni diventa il centro dell'universo, il ponte che conduce a Wakan Tanka e corrisponde all’altare cristiano. È ricoperto nella parte superiore da offerte fatte da ritagli di stoffa pieni di tabacco, la pianta sacra offerta agli spiriti, e purificati con la salvia selvatica, legati tra loro da una cordicella. Sono preghiere, come ogni altro elemento rituale: il cranio del bisonte, le pelli, i costumi e i vestiti cerimoniali.

Il pioppo è l'albero della gente e delle stelle: se si spezza un rametto si vede che il midollo al centro appare come una stella a cinque punte, la Stella del Mattino, che sta tra le tenebre e la luce, e rappresenta la conoscenza e la presenza del Grande Spirito. La sua forma dimostra che l'albero è nostro fratello, anch'esso viene dalle stelle: dalle Pleiadi, per precisione. I Lakota chiamano gli alberi "gli esseri sacri che stanno diritti". I bipedi devono seguire l'esempio del pioppo, guardando sempre verso l'alto, verso il Cielo e il Sole. Così, scelgono di seguire la “Via Rossa”, la via dell’evoluzione e della crescita armonica, lasciando la “Via nera”, quella dei distratti che vivono per se stessi e non per il benessere del proprio popolo.

La Danza del Sole, un tempo vietata dai bianchi, oggi ha ripreso vigore nelle riserve anche di altre nazioni native, in particolare i Crow. Viene conclusa con la condivisione delle benedizioni ricevute dai danzatori, che “passano” a tutti i presenti la loro forza ottenuta con il sacrificio (si fanno infilzare il petto con ganci collegati alle corde legate all’albero rituale; questi ganci poi vanno strappati offrendo il proprio corpo allo spirito). È l’origine spirituale del piercing. La cerimonia si chiude con il Give Away, lo scambio di doni. Oggi possono parteciparvi anche i Wasichu, i bianchi, ed è un’esperienza che trasforma la vita.  

Questo è un giorno sacro.

lo sono il primo parente di questo giorno.

Un' aquila pezzata dice queste parole mentre arriva.

Questo giorno è sacro.

Sono imparentato innanzitutto con questo giorno.

Un' aquila calva dice queste parole mentre arriva in volo.

Canto della Danza del Sole

 

LA RUOTA DI MEDICINA

“Medicina” per i Nativi americani significa “potere (di guarigione), non farmaco né “strumento” o “metodo” di cura. Significa integrità, completezza, pienezza e realizzazione… e molto altro ancora. In questo senso, la Luna, il Cielo, la Terra, gli esseri viventi, quelli inanimati, quelli non ancora nati e quelli già passati altrove, gli esseri spirituali, tutti questi hanno, o meglio sono, una Medicina. L’intero mondo, in realtà, è Medicina, ma è strutturato in una forma e al suo interno vi sono specifiche “medicine”: per comprenderle, conoscerle ed entrarvi in relazione si traccia appunto la Ruota di Medicina. Ciascuna delle Quattro Direzioni ha ed è una Medicina, il Centro, l’Alto e il Basso sono e hanno Medicina; a ciascuna di queste sette dimensioni (le quattro direzioni “piane” e le altre tre) corrisponde una pietra, una stella, un potere. La Ruota di Medicina diventa dunque la rappresentazione di questi poteri, la mappa spirituale del nostro universo, un navigatore satellitare dell’anima: al suo interno si sa sempre da dove si viene, dove si è e dove si va; si entra in se stessi in profondità e allo stesso tempo si incontrano le forze naturali, trovando la connessione e l’armonia grazie alla sua energia ordinata e risanatrice.

La Ruota è un cerchio suddiviso in quattro quadranti, ciascuno dei quali ha un colore e attribuzioni particolari. In ciascuna delle nazioni native nordamericane vi sono differenti versioni della Ruota di Medicina, come del resto avviene per i rituali, che pur somigliandosi differiscono nei dettagli da una tribù all’altra.

La più semplice Ruota di Medicina si traccia con pietre sulla nuda terra. La struttura dove si svolge la Danza del Sole è essa stessa una Ruota di Medicina; la struttura della Capanna Sudatoria, la Sweat Lodge nella quale si svolge l’Inipi, è anch’essa una Ruota. Perché tutto il potere del mondo è nel cerchio.

Le Direzioni, o Venti, corrispondono solo in senso simbolico ai punti cardinali. Rappresentano piuttosto una mappa della vita e delle sue trasformazioni con i suoi quattro aspetti principali: il fisico, il mentale, l’emozionale e lo spirituale. Il centro è il Grande Mistero, Wakan Tanka, che vivifica ciò che nasce dall’incontro fra Padre Cielo e Madre Terra.

“Il Cerchio della Ruota di Medicina è l'Universo. È mutamento, vita, morte, nascita e apprendimento. Questo Grande Cerchio è la dimora del Corpo, della Mente e del Cuore, è il ciclo di tutte le cose che esistono. Il Cerchio è il nostro modo di Toccare (fare esperienza) e di provare armonia con tutte le altre cose che ci stanno intorno; e per coloro che cercano di capire, il Cerchio è il loro Specchio.”

Hyemeyohsts Storm